Storia - Comune di Agerola
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AGEROLA NEL MEDIOEVO
Gli avvenimenti di Agerola, dalla decadenza dell’Impero romano fino al secolo scorso sono intimamente legati allo splendore e alla decadenza del Ducato amalfitano, del cui territorio era parte integrante.
Già nel periodo bizantino Amalfi era il centro della costiera perché qui vi risiedevano i rappresentanti dell’Impero d’Oriente. Quando Amalfi divenne la prima e più dinamica repubblica marinara del Medioevo, tutte le città della costiera entrarono nell’orbita del suo dominio, più per ragioni di comune difesa dai barbari circostanti, che per la forza delle armi.
Agerola era il territorio più ampio, più alto ed anche il più lontano e per conseguenza il meno impegnato negli affari politici delle grandi città fortificate del centro della costiera. Nel corso dei secoli gli abitanti di Agerola hanno avuto sempre un carattere piuttosto difficile, abituati a lottare contro tutti gli elementi della natura, hanno avuto sempre un grande vigore fisico ed una grande fierezza di carattere.
Nel V secolo essi si convertirono al Cristianesimo e la nuova fede trasformò in parte la loro indole e i loro costumi e, come tutte le genti di montagna, abituati al contatto con la natura, hanno sempre conservato un senso profondo della religiosità della vita. Essi distrussero le edicole dedicate alle divinità pagane e in ogni parte del territorio di Agerola sorsero le chiese della nuova religione che dava alla vita un più intenso contenuto spirituale.
Le città della costiera si sviluppavano e si popolavano sempre di più, i cantieri della costa avevano bisogno di legname, di operai e i mercati locali avevano bisogno di prodotti agricoli e il terreno di Agerola dovette produrre sempre più intensamente: la vicinanza di mercati così comodi e così vicini dovette far rifiorire la vita economica di Agerola, perché una parte dell’oro che affluiva in costiera risaliva anche verso Agerola. Numerose famiglie di Agerola, si arricchirono con il commercio e con altre attività e costruirono lussuose dimore, e, fra le più antiche famiglie di Agerola ricordate dai documenti sono le famiglie Sarriano, Scatola, Lantaro, Pironti, Pulcaro, Amalfitano, Cuomo, Federico, Imperato, Villani, Conte, Coccia, Casanova, Caucella, De Stefano, Coppola, Iovane, Longo, Naclerio, Acampora, Vespolo, Acunto, Avitabile, Brancati, Cavaliere, Farao, Lauritano, Avitrano, Fusco, Eboli, de Rosa, Positano, Gallo Rocco. Molte di queste famiglie sono ancora esistenti, altre sono emigrate o addirittura estinte.
Agerola come aveva seguito lo splendore della repubblica di Amalfi così dovette seguirla nella tristezza della decadenza. I normanni che con la costanza e l’audacia avevano costituito dal nulla un grande regno unitario nell’Italia meridionale, occupando la costiera avevano concesso grandi privilegi ad Amalfi perché avevano bisogno della loro flotta e della ricchezza dei suoi traffici. Ma Amalfi invece aveva bisogno della sua autonomia politica per la libertà dei suoi traffici e per destreggiarsi in mezzo a popoli continuamente in guerra, giacché i suoi interessi commerciali non coincidevano con le esigenze della politica normanna. Consapevole di ciò, cercò più volte, con la forza delle armi ma soprattutto con quella della disperazione, di riacquistare la sua autonomia. Ed è proprio da questo periodo che cominciamo a trovare notizie di fondi coltivati a rose in Agerola, comunemente chiamati rosari. L’essenza di rosa o acqua rosata, prodotta da Agerola, era particolarmente apprezzata e richiesta dagli aristocratici e cortigiani della corte di Napoli.
Amalfi, già priva della sua indipendenza politica ed ormai avviata ad un lento processo di declino, fu gravemente danneggiata da una famosa tempesta del 1343, descritta a fosche tinte anche dal Petrarca. La violenza del mare sommerse buona parte del litorale della costa e della città di Amalfi, e, distruggendo porti, magazzini, arsenali e fortificazioni, colpì a morte il ducato amalfitano nelle sue risorse più vitali. In seguito al duro colpo ricevuto dalla violenza della natura, la prosperità economica del ducato di Amalfi, si ecclissò come una stella luminosa del mattino, e quello stesso mare che aveva creato la sua ricchezza, la travolse per sempre nelle sue onde infuriate.
Le grandi famiglie di armatori e di mercanti che erano stati l’anima della grande potenza commerciale di Amalfi, privati delle basi navali della loro terra, emigrarono in altre città, e, con la loro scomparsa, la costiera perdette la sua grande vitalità economica.
Le continue guerre civili, le incursioni dei turchi, le frane, le alluvioni, le pestilenze, i terremoti fecero il resto, e, così si sono creati secoli di vuoto, nei quali sono scomparsi documenti, chiese, palazzi e monumenti, e, quel poco che si è salvato, rappresenta ciò che è rimasto di un grande naufragio. Tutto ora è profondamente diverso e riesce veramente difficile ad immaginare una così grande operosità di uomini in una terra adatta solamente al più dolce e riposante ozio pensoso.
La costiera dalla dominazione normanna passò a quella sveva e l’imperatore Federico II volle sempre che Agerola fosse conservata nel regio demanio, cioè amministrata direttamente dai propri sindaci e giudici.
I normanni e gli svevi avevano creato la più grande e gloriosa monarchia d’Italia e, se avevano eliminato le autonomie locali, la loro politica tendeva a fondere i loro sforzi al solo scopo di creare un grande organismo politico capace di esercitare una grande attrazione su tutto il resto della penisola italiana. La politica dei re normanni e quella di Federico II e di Manfredi, sotto tanti aspetti, anticipò la concezione politica moderna, sia nella legislazione sia, soprattutto, nella tolleranza religiosa e nel superamento di ogni questione razzistica. Sull’esempio degli amalfitani, furono mantenuti ottimi rapporti con il mondo arabo e ciò contribuì a rendere sicura e prospera la navigazione della flotta meridionale nei porti del levante. Di ciò si avvantaggiarono specialmente gli amalfitani che avevano un’esperienza secolare nel commercio orientale. Questo processo di ripresa fu interrotto dalla sconfitta e dalla morte di Manfredi presso Benevento nel 1266.
Dopo quella battaglia cambiarono decisamente le fortune del regno meridionale: si era all’alba dell’era moderna, ma proprio allora la costiera cominciava a conoscere gli aspetti più negativi del medioevo.
PERIODO ANGIOINO (1266-1444)
Il periodo angioino fu il più doloroso per le sorti dell’Italia meridionale. Furono vendute le città libere e furono infeudati castelli e villaggi; i nuovo signori maltrattavano, in tutti i modi, le popolazione soggette; furono imposte esose tasse e gravi limitazioni alla libertà dei traffici che portarono ad uno stato di decadenza economica e morale.
Lo stato di esasperazione produsse i famosi vespri siciliani che staccarono la Sicilia che staccarono la Sicilia dal regno meridionale. Il divieto dei traffici con la Sicilia e con le altre regioni del Mediterraneo colpì definitivamente il commercio della costiera amalfitana che da esso traeva tutti i mezzi della sua esistenza. La famosa tempesta del 1343 fece il resto e così la costiera fu costretta a vivere prevalentemente di pesca e di agricoltura, in un territorio in buona parte scosceso e sterile.
Le condizioni di Agerola risentirono sinistramente delle condizioni generali e lo splendore della corte di Napoli non riusciva a celare il tragico stato delle Provincie meridionali.
In questo periodo la popolazione di Agerola era grandemente diminuita ed era ridotto solamente a 126 famiglie.
I principi angioini che infeudavano tutto, smembrarono dal ducato amalfitano, le terre di Agerola, Pino e Pimonte e le donarono a Landolfo d’Aquino nel 1284. A quest’ultimo successe il francese Ugone di Sully nel 1294. Ma avendo questi rifiutato, Agerola, dal re Carlo II, fu assegnata a Ludovico dei Monti. In seguito re Roberto, figlio ed erede di Carlo II, al nobile napoletano Filippo Falconiero e, alla morte di costui ne divenne erede il figlio primogenito, poi la sorella Giovanna. Ai tempi di Giovanna I, Agerola fu dichiarata di nuovo demanio regio e aggregata al ducato Amalfitano di cui faceva parte da secoli. Il suo periodo di vassallaggio durò così dal 1284 al 1343.
Da quest’epoca i veri protagonisti della storia di Agerola furono i banditi che seminarono il terrore nel paese e in tutta la costiera amalfitana tanto che procurarono ad Agerola la fama di essere abitata da uomini sanguinari e proclivi al delitto.
Ai banditi che rendevano la vita malsicura in qualsiasi località, si aggiunsero le interminabili guerre civili fra i Durazzeschi e gli Angioini che, con violenze e saccheggi, lasciavano lunghi strascichi di odi e di sangue. Durante la guerra tre le due opposte fazioni morirono sia, il durazzesco, Carlo e sia, l’angioino, Ludovico; per cui assunse il regno Margherita, vedova di Carlo. Intanto re Ladislao, figlio di Margherita, approdò a Napoli; ma la situazione non migliorò.
Molte famiglie di Agerola di Agerola in quei tempi emigrarono a Napoli dove costituirono una fiorente colonia di Agerolesi che si arricchirono coi traffici e che occuparono cariche importanti nella corte di Napoli.
Un’altra famiglia di ricchi commercianti ad Agerola fu quella dei Lantaro. Di essa Lisolo Lantaro (commerciante di seta), nel 1384, prestò a Carlo II di Durazzo la somma di once 514, tari14 e gr.16. Il Lisolo fu possessore di beni feudali in Parete, in Terra di Lavoro, e fu iscritto al sedile di nobiltà di Portanuova, morì a Napoli nel 1387 e fu seppellito nella chiesa di S. Agostino della Zecca dove egli aveva fatto costruire una cappella dedicata a S. Antonio Abate, protettore del suo Paese.
Amalfi intanto che era sempre appartenuta al demanio regio fu per la prima volta concessa in feudo dal re Ladislao nel 1398 con il titolo di ducato a Venceslao Sanseverino e Agerola ne seguì la sorte nel vassallaggio. Cominciò così quel triste periodo feudale durante il quale la città e le altre terre furono dissanguate dalle tasse imposte dai vari signori che si susseguirono e che pensavano soltanto a sperperare il denaro estorto dai contribuenti. Ai mali già così considerevoli creati dal malgoverno, si aggiungevano sempre le carestie e le pestilenze a rendere irreparabile la miseria.
PERIODO ARAGONESE-SPAGNUOLO-AUSTRIACO (1444-1734)
Nel periodo della dominazione aragonese nel regno di Napoli si ebbe una certa ripresa economica, ma il regno meridionale aveva un male cronico, che impediva costantemente il suo sviluppo, nei baroni sempre irrequieti, in continua discordia fra di loro e con il re, da cui cercavano di essere indipendenti, creando quell’ isolamento che è stato la causa di tante sventure.
In rapporto alle dominazioni precedenti, la dominazione spagnuola non fu una delle peggiori e, se falsificò il nostro costume, continuò a spillare il denaro dalle ormai esauste finanze dei sudditi, assicurò per lo meno la fine dei contrasti armati delle fazioni e represse la violenza dei baroni.
Intanto, nel ducato di Amalfi, al Sanseverino successe nel 1438 Raimondo del Balzo Orsini che aveva sposato Eleonora d’Aragona zia del re di Napoli. Morto il marito ebbe la reggenza del ducato la moglie Eleonora nel 1458. La duchessa prese dimora prima a Tramonti in un castello da lei fatto ampliare ed abbellire e che attualmente è adibito a cimitero; poi, nel 1460, si stabilì ad Amalfi.
Sebbene la duchessa avesse più volte espresso i suoi sentimenti di fedeltà al re Ferdinando d’Aragona, suo parente, nella guerra che il re combatteva contro Renato d’Angiò, tuttavia, alla prima occasione, tradì il re e passò alla parte del suo nemico in guerra. Agerola, Amalfi, Scala, Conca ed Atrani seguirono il partito della duchessa e si ribellarono are Ferdinando. Soltanto Tramonti e Ravello si mantennero fedeli al re aragonese. La guerra fu combattuta con poca fortuna per Ferdinando che fu sconfitto nella battaglia di Sarno ma poi, ricevuti i rinforzi dagli sforza e da Antonio Piccolomini, riuscì a vincere il rivale e a conservare il suo regno. Nel’occasione di questa guerra anche per odio di famiglie, fu distrutto il borgo di Pino presso Agerola. Le città ribelli della costiera furono punite in vario modo ed Eleonora d’Aragona perdette il ducato che dal re Ferdinando fu assegnato ad Antonio Piccolomini, il quale aveva aiutato il re in un momento difficile, con decreto del 24 Maggio 1461.
Nel gennaio 1493 morì Antonio Piccolomini, lasciando erede del ducato il suo figliolo Alfonso I che dopo tre anni morì lasciando la sua giovane sposa Giovanna d’Aragona incinta di suo figlio, a cui fu dato il nome di Alfonso II. questa duchessa divenne celebre per le sue tragiche vicende d’amore e di morte che commossero tutta l’Europa.
In seguito alla guerra per la successione di Spagna, per il trattato di Rastad nel 1714 il regno di Napoli fu assegnato agli Austriaci che lo tennero fino al 1734 anno in cui inizia la dominazione borbonica, mentre i Comuni della costiera di Amalfi continuavano la loro stentata esistenza sotto il peso di vecchi e nuovi problemi.
Anche nella miseria generale e nella tristezza dei tempi vi furono ad Agerola uomini che onorarono il loro paese distinguendosi per nobiltà di sentimento e di intelletto.
Tra gli uomini illustri di quel tempo ricordiamo Andrea Vespolo che fu inviato in qualità di cancelliere nel 1503 al re Ferdinando il Cattolico, Renzo d’Acampora di Agerola fu eletto del popolo nel 1504 e la stessa carica occupò Pietro de Stefano nel 1536 e Giambattista Fusco nel 1544; Alessio Cavaliere era familiare e giustiziario di Carlo V.
Originaria di Agerola fu pure l’illustre famiglia Pironti che aveva estesi poderi in Pianillo e una cappella gentilizia dedicata a S. Trofimena nella chiesa di S. Martino; da questa famiglia nacque Nicola Pironti che fu il primo duca di Campagna.
Ma il più illustre figlio di Agerola in questo periodo fu Francesco Antonio Porpora. Proveniente da una famiglia originaria del Furore, nacque nel nostro paese nell’anno 1583 da famiglia di civile ed onesta condizione. Come succedeva a pochi in quei tempi e anche in quelli successivi, ebbe la possibilità di studiare le belle lettere, con molto amore. Successivamente cominciò a studiare il diritto civile e canonico sotto la guida del famoso giureconsulto Giacomo Gallo, originario di Praiano. Alla morte del grande maestro, il Porpora in un elegantissimo latino ne scrisse la vita per una valida e duratura manifestazione di stima e affetto. Dopo aver conseguito la laurea in legge, il Porpora iniziò una brillante carriera di avvocato nel foro di Napoli e divenne il più famoso fra i giureconsulti napoletani del tempo.
Era già molto affermato e stimato nell’arte forense quando sentì irresistibile il richiamo e la passione delle lettere, della storia e dell’archeologia e non abbandonò mai questi studi per tutta la sua vita. Concepì allora il disegno di compilare <<La storia civile ed ecclesiastica di Amalfi e del suo ducato>>.
Avendo dato inizio alla sua opera, si trasferì da Napoli ad Agerola nella sua casa paterna nella frazione Pianillo per attendere con maggiore impegno al suo lavoro nella tranquillità e nel silenzio del suo paese natio.
Ma la ricerca dei documenti negli archivi della costiera e del regno di Napoli e l’acquisto dei libri necessaria quei tempi costava molto lavoro ma soprattutto molto denaro. Il Porpora non era molto ricco e cominciò a sacrificare tutti i suoi beni, e a contrarre anche debiti per continuare l’opera. Agli occhi dei buoni villici che di storia ne intendevano ben poco, dovette certamente apparire un esaltato se vendeva le sue proprietà per comprare solamente libri e documenti antichi.
Egli non era amante degli onori e degli agi della vita e così, rinunziando a tutto si consacrò al servizio di Dio e nell’anno 1628 divenne sacerdote. Nel 1636 dovette andare a Roma per essere consacrato vescovo dal Papa Urbano VIII e assegnato alla sede di Montemarano (Avellino).
Alla sua morte il prezioso manoscritto passò nelle mani del suo nipote in Agerola che certamente non comprese il grande valore di quell’opera e quando sopraggiunse la tremenda peste del 1656, per sospetto di contagio, fu bruciato. Senza quell’atto incosciente di quel suo oscuro nipote, ora un cittadino di Agerola avrebbe rivelato agli storici il grande mistero che avvolge la storia della costiera amalfitana, che per oltre tre secoli fu la storia più bella d’Italia.
Ma oltre ad un vescovo Agerola in quello stesso periodo ebbe l’onore di aver dato i natali anche ad un cardinale, Bartolomeo Brancati. Egli fece costruire una chiesetta di famiglia in località S. Maria la Manna. Inoltre legò il proprio nome alla costruzione di un grande monastero nella frazione di Campora, affidato all’ordine delle Carmelitane scalze. Il monastero, nel periodo del regime fascista fu abbattuto e sul suo suolo fu costruita l’ex casa del Fascio. La tradizione riferisce che, in un conclave, soltanto per un voto non fu eletto Papa, e così per quel solo voto, Agerola ha perduto un Papa cittadino nella gloriosa storia della Chiesa.
Un altro cittadino di Agerola. Pietro De Stefano, nel 1547 comprò la terra di Accadia nella capitanata per 12000 ducati da Giambattista d’Azzia marchese della Terza. Egli era stato eletto come uno dei governatori della Casa Santa dell’Annunciata di Napoli e poi fu anche eletto del popolo. Nel 1560 pubblicò un libro: la <<Descrizione dei luoghi sacri di Napoli>> nel quale raccolse molte notizie utili per la conoscenza delle chiese di Napoli.
Nacque anche ad Agerola Biagio Avitabile, valente avvocato del foro napoletano che fu biografo di molti Accademici dell’arcadia e poeta egli stesso. Biagio fu assessore nell’isola e città di Capri e scrisse una tragicommedia intitolata “Turgone” ed ebbe grande amicizia con molti illustri letterati del suo tempo tra i quali Salvino Salvini di Firenze e Domenico De Angelis; scrisse parecchie lettere apologetiche che forse per il loro argomento laico, vennero condannate dalla Congregazione dell’Indice.
Ebbe i natali ad Agerola un altro distinto poeta, Giovanni Acampora, che coltivò felicemente la poesia e pubblicò un volume di <<Rime scelte di vari illustri poeti napoletani>> nell’anno 1728. Abbiamo di lui anche un’allocuzione contro il procedimento del S. Ufficio a favore della città di Napoli.
Così Agerola fu la patria di giuristi, scrittori, storici e poeti e di grandi benefattori. Il nostro passato non è così oscuro come molti potrebbero credere e se molti documenti non si fossero smarriti, si potrebbe documentare ancora di più il piccolo ma prezioso contributo che il nostro paese ha dato al progresso civile.
PERIODO BORBONICO (1734-1860)
La dominazione borbonica fu certamente la migliore dominazione del regno di Napoli ed ebbe favorevoli auspici col regno di Carlo III che riuscì felice per il mirabile accordo della volontà del principe con quella dei sudditi. I napoletani da 230 anni non avevano mai avuto un re proprio e stabile, erano stati governati sempre da viceré, spesso provvisori, che avevano un solo scopo fondamentale; quello di spillare denaro con tutti i mezzi per alimentare il loro lusso e quello della corte spagnola. Cessarono le continue rivolte, i saccheggi delle compagnie di venture, le vie erano ritornate sicure, l’autorità legale era pienamente consolidata con una maggiore onestà dei pubblici impiegati. Utili riforme furono introdotte in ogni ramo della pubblica amministrazione, ispirate dal grande ministro Tanucci che fu l’anima e la mente di quel governo. La costiera di Amalfi risentì il benefico risveglio che animò tutto il regno e i suoi traffici marittimi ebbero una vigorosa ripresa, perché la navigazione fu liberata dalla pirateria e dalle infinite impostazioni fiscali che ne soffocavano lo sviluppo. Ed è, infatti, a Carlo III che si deve la costruzione della reggia di Caserta e l’avvio degli scavi di Pompei ed Ercolano.
Intanto ad Agerola, per effetto delle riforme borboniche, le condizioni economiche erano cambiate. Non vi erano più tassazioni esose, scomparve il brigantaggio, male cronico del paese, il governo riceveva soltanto. non dava mai nulla, ma aveva finalmente assicurato la pace e l’ordine e la gente poteva dedicarsi più tranquillamente al proprio lavoro; vi furono soltanto la peste e i terremoti, mali non imputabili al governo.
In Agerola si formò una borghesia locale che traeva grandi vantaggi dall’industria e dal commercio della seta, delle droghe e dei farmaci, e i ricchi commercianti di Agerola devolvevano molto denaro al Monte dei “maritaggi” annesso ad una cappella della chiesa di S. Agostino della Zecca di Napoli.
Le idee della rivoluzione francese, attraverso gli uomini colti che vivevano a Napoli, penetrarono anche nel nostro paese. Agerola fu il primo Comune della Provincia ad aderire alla costituzione democratica della repubblica partenopea e il nucleo dei rivoluzionari sensibile agli ideali di libertà democratica. In seguito molti agerolesi militarono nell’esercito napoleonico e vissero il clima eroico di quei grandi avvenimenti, riportando nel paese un nuovo desiderio di libertà.
Dopo la restaurazione borbonica del 1815 si svilupparono anche ad Agerola le società segrete e fu costituita una vendita carbonara con il nome di Flavio Gioia di cui fu gran Maestro D. Giovanni Amatruda e il membro più influente della Vendita fu D. Salvatore Avitabile, tenente della civica.
Del movimento carbonaro facevano parte anche dei sacerdoti locali: D. Giuseppe Naclerio Parroco di Pianillo; D. Vincenzo Villani, Parroco di Bomerano e D. Melchiorre D’Acampora, Parroco di Campora, che era già stato l’animatore dei moti liberali durante la repubblica partenopea del 1799. Questi tre parroci furono sottoposti ad un processo anche dalle autorità ecclesiastiche del tempo e i cui atti si conservano nella curia Arcivescovile di Amalfi.
Quando avvennero i primi moti del Risorgimento italiano nel 1820 a Napoli, nello stesso anno, i carbonari di Agerola, nella passeggiata delle armi, nella Piazza di Bomerano, proclamarono la loro adesione alla costituzione. I carbonari di Agerola furono perseguitati dai borbonici ma non per questo cessò l’attività dei patrioti locali che diffusero nel paese il nuovo sentimento nazionale e l’ansia di tempi migliori.
In quei tempi, l’agerolese Antonio De Stefano, si iscrisse alla <<Giovane Italia>> impegnandosi a lottare per l’unità e l’indipendenza dell’Italia. Antonio De Stefano nel 1848 partecipò alla rivoluzione di Napoli che strappò la Costituzione al re Ferdinando II. Successivamente si arruolò nell’esercito partecipando alla prima guerra d’Indipendenza. Ritornato al suo Paese fu arrestato, processato e condannato alla galera nell’isola di Ventotene. Uscì dal carcere soltanto quando il regno di Napoli fu liberato dai garibaldini.
Ma il De Stefano, come aveva lottato contro i borboni, lottò anche contro i briganti che infestavano il nostro paese e gli altri luoghi della Costiera. Dopo la repressione del brigantaggio, per i suoi grandi meriti fu nominato Cancelliere capo del Tribunale di Napoli e dopo il servizio attivo si ritirò a vivere in Amalfi, dove si era sposato, insignito di onorificenze; per i suoi meriti patriottici, godette di una pensione, riscossa ancora dai suoi discendenti.
La figura dominante nella storia di Agerola nell’ultimo periodo borbonico è, senza dubbio, il generale Paolo Crescenzo Martino Avitabile la cui personalità ha un così grande rilievo non solo nel campo locale ma anche in quello nazionale.
Il generale Avitabile nel 1844 faceva staccare Agerola dalla provincia di Salerno e la faceva aggregare a quella di Napoli, la capitale del regno. Così Agerola veniva separata amministrativamente dalla costiera di Amalfi con cui aveva condiviso per secoli periodi di splendore e di decadenza. Ma, per la giurisdizione religiosa, rimase legata alla diocesi di Amalfi. Il generale aveva inoltre compreso che Agerola per migliorare il suo destino doveva uscire dal suo isolamento geografico. Per il vantaggio del suo paese domandò al re Ferdinando II una strada rotabile che congiungesse Agerola con Gragnano, il che gli venne promesso dopo la presentazione del progetto. Ma per le vicende della rivoluzione del 1848 le pratiche rimasero sospese. Infatti solo nel 1873 verrà aperta la strada rotabile Castellammare-Agerola e così scomparirà il millenario isolamento del nostro paese e la nuova via di comunicazione diede impulso alle attività locali.
Nel 1860, dopo l’ingresso delle truppe garibaldine a Napoli, Agerola non faceva parte più del regno meridionale ma del regno d’Italia.
Però il nostro paese, come tanti altri dell’Italia meridionale, con molte difficoltà si inserì nel nuovo ordinamento del regno d’Italia.
Il nuovo regno fece subito sentire la sua presenza ad Agerola attraverso le tasse sul bollo, sulla successione ereditaria e sul macinato. I pacifici montanari nell’epoca borbonica erano trascurati, ma non pagavano tasse e non conoscevano la leva militare. Invece ora l’esattore delle imposte e i carabinieri rappresentavano il prezzo della libertà ottenuta, e i montanari tassati nelle loro misere risorse, reagirono con il brigantaggio che complicò maggiormente la situazione. Dopo un decennio di lotte, il brigantaggio fu represso, ma restò nell’animo di tutti un sordo rancore contro il governo, che veniva considerato come il grande nemico occulto e lontano. Cominciò così il triste fenomeno dell’emigrazione e centinaia e poi migliaia di contadini analfabeti, spinti dalla miseria e dalla fame, si ammassavano nel porto di Napoli, diretti in America dove poi erano destinati ai lavori più umili.
AGEROLA E IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Il 28 giugno 1914 uno studente bosniaco assassinò l’ erede al trono d’ Austria, l’ arciduca Francesco Ferdinando, e sua moglie, mentre attraversavano le vie di Sarajevo, capitale della Bosnia. Questo attentato terroristico, si trasformò in un caso internazionale e mise in moto una catena di reazioni e controreazioni che precipitarono l’ Europa in un conflitto di proporzioni mai viste. L’Austria, dopo una serie di preliminari, dichiarò guerra alla Serbia, la spirale di violenza propagò in breve tempo in altre nazioni.
L’Italia entrò nel conflitto mondiale nel maggio del 1915, schierandosi a fianco dell’ Intesa contro l’Impero austro-ungarico fino a quel momento suo alleato. La guerra contro l’Austria avrebbe consentito all’ Italia di portare a compimento il processo risorgimentale, riunendo alla patria Trento e Trieste, ma anche di aiutare la causa della democrazia che si pensava sarebbe stata minacciata dagli imperi autoritari del Centro Europa.
In Trentino e nel Triveneto, ovunque, c’erano soldati agerolesi mobilitati in difesa dei diritti degli italiani. Tali uomini non erano nuovi a questo tipo d’ impresa, infatti, anche il 29 settembre 1911, quando l’ Italia dichiarò guerra alla Turchia, allo scopo di annettere le regioni libiche di Tripolitania e Cirenaica, essi parteciparono allo sforzo bellico.
Il Consiglio Comunale di Agerola cercò di sostenere le famiglie dei combattenti elargendo loro cospicue somme di denaro, nessun compenso riuscì però ad alleviare l’ atroce dolore delle madri, delle mogli e dei figli che al fronte persero i propri cari. L’ 8 giungo 1916 il Consiglio Comunale nella persona dell’ allora sindaco don Matteo Coccia rese onore ai soldati caduti: Vincenzo Apuzzo, Enrico Cuomo, Antonio Acampora, Giuseppe Iovieno, Luigi Apuzzo, Pietro Fontanella, Giovanni Acampora, Luigi Avitabile, Francesco Avitabile, Luigi Manzi, Luigi Florio, Raffaele Cuomo, Salvatore Criscuolo, Matteo Renato Florio. A questa commemorazione altre ne seguirono. Il 9 luglio del medesimo anno, Agerola pianse la morte del coraggioso capitano Paolo Capasso caduto sul Monte S. Michele nelle vicinanze del fiume Isonzo. Il 15 agosto il baldo capitano fu decorato con medaglia d’ oro al Valor Militare.
Per le onoranze ai caduti venne costituito l’apposito Comitato Civile, di cui fece parte come animatrice Rosa Cavaliere, donna dal radicato amor patrio e dal cuore generoso.
Abnegazione e coraggio contraddistinsero i combattenti agerolesi ai quali, in virtù di ciò, furono attribuiti numerosi riconoscimenti. Il Tenente Colonello Cavaliere Giuseppe Naclerio e il soldato Matteo Ruocco ricevettero una Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo, mentre, una ricompensa al Valor Militare fu riconosciuta al marinaio Raffaele Esposito, che emigrato in America a 16 anni tornò in Italia per amore della sua terra e per dare il proprio contributo alla prima guerra mondiale. L’ 11 febbraio 1918, il valoroso agerolese partecipò con Gabriele D’Annunzio alla Beffa di Buccari; sotto il comando del capitano di fregata Costanzo Ciano 30 uomini a bordo di 3 motoscafi anti sommergibile penetrarono per oltre 80 chilimetri, nella baia di Buccari, tra le difese costiere austriache e le affondarono. L’ impersa ebbe l’ effetto di risollevare il morale degli italiani dopo lo sfondamento di Caporetto.
La fine del conflitto e la meritata Vittoria vennero salutate ad Agerola nel generale entusiasmo con funzioni religiose e festeggiamenti civili. Il sipario, finalmente calato sulla grande guerra, non calò però sulle devastazioni, sui lutti e sulle mutilazioni, perché restano solo distruzioni e dolori al termine di ogni conflitto armato.
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